Quando si parla di vini piacentini il pensiero corre immediatamente a due tipologie: Ortrugo per i bianchi e Gutturnio per i rossi.
Parliamo in questa sede dell’Ortrugo.
Il nome non è dei più facili, sillabando la parola OR-TRU-GO si evidenzia quasi una difficoltà a pronunciarla, la ‘R’ ripetuta graffia la lingua e renderebbe simpaticamente goffi un francese o un italiano dalla erre moscia.
Questo però non sempre risulta negativo: un mio personale conoscente, sapendo che ora opero a Santa Giustina, un giorno mi chiede: “Vorrei assaggiare quel vino bianco… di cui non rammento il nome, ma ben ricordo che in esso vi sono più di una R”; in questo caso dunque la difficoltà di pronuncia è diventata un motivo per ricordare il vino.
Il pensiero mi rimanda a una vecchia pubblicità degli anni ’60 riferita a una azienda che produceva piccoli elettrodomestici, la Girmi, e il suo slogan che diceva: “Girrrrmi, il gastronomo in cucina”, dove in questo caso la ‘R’ diventava fondamentale per esercitare sulla memoria del potenziale cliente il riconoscimento del prodotto.
Già dunque dalla pronuncia possiamo immaginare il vino.
La nostra parte cerebrale deputata al riconoscimento dei profumi e dei gusti ci porta a individuare un prodotto fresco, fruttato, con una spiccata e piacevole acidità, meglio se accompagnato da una soave bollicina.
L’ortrugo è un’uva indigena a buccia bianca, coltivata sui colli piacentini da oltre un secolo.
Fra i primi anni ’50 e la fine degli anni ’70 ha attraversato un periodo di crisi, fino a quando, riscoperto da tenaci viticoltori che ne conoscevano le qualità (un po’ come è successo nel Roero con l’Arneis e nel Tortonese con il Timorasso), si è via via diffuso nel territorio fino a diventarne il prodotto simbolo.
Ogni azienda piacentina che si rispetti ha quindi nel catalogo questo pregiato vino e Santa Giustina propone orgogliosamente il suo Ortrugo nella versione frizzante.
La vinificazione delle uve avviene attraverso una soffice pressatura e prosegue con la fermentazione a temperatura controllata nelle vasche di acciaio termocondizionate. Al termine della fermentazione, che dura circa venti giorni, il vino viene travasato sempre in vasche d’acciaio e quindi raffreddato per favorire il deposito naturale delle particelle solide rappresentate soprattutto da frammenti di buccia e da sostanze in sospensione.
Il primo imbottigliamento viene solitamente effettuato già nei mesi invernali successivi all’anno di vendemmia (gennaio – febbraio) per sfruttare al massimo le caratteristiche di freschezza, aroma e tipicità. Il vino si presenta al colore con un bel giallo paglierino scarico dai riflessi verdolini, all’olfatto fine, intenso, con sentori floreali e fruttati (mela golden, glicine e fiori di mandorlo) e al gusto palesa una gradevole freschezza con delicati sentori agrumati, sostenuta da una delicata mineralità.
Risulta un compagno ideale degli antipasti di salumi e dei tortelli al burro e salvia, tipici della cultura gastronomica piacentina ma naturalmente non disdegna le fritture di pesce e le ottime tartine al salmone.
Guerrino Saviotti
Santa Giustina, ottobre 2017